La Dieta Ancestrale (IPOTOSSICA)

PREMESSA

Cercherò di condensare il più POSSIBILE il libro di Seignalet “L’alimentazione, ovvero la terza medicina” ma più di tanto non si può, perché sono oltre 400 pagine di trattati medico scientifici, cercherò comunque di essere chiaro ed esauriente, su questa Dieta poco conosciuta, ma molto importante.

Alimentazione ancestrale ed alimentazione moderna

Jean Seignalet.

La dieta in questione è stata elaborata dal dottore francese Jean Seignalet, il quale ha avuto il notevole vantaggio di operare prima come medico dal 1959 al 1968, poi come biologo dal 1968 al 1983, nel campo dell’immunologia e della genetica, mantenendo comunque qualche attività clinica, per poi ritornare dal 1983 al 2003 al lavoro di medico, continuando gli studi in biologia. Ciò gli ha permesso di sviluppare una visione decisamente più globale sulla condizione dell’uomo e delle sue malattie rispetto ad un medico o ad un biologo, in più egli dedicava due giorni alla settimana alla lettura di articoli medici nella maggior parte dei settori delle medicina (dietetica compresa) ed in diversi settori della biologia, dando risalto alla fisiologia cellulare ed all’intestino tenue. Seignalet ritiene che l’ “ignoranza” della medicina sulla patogenesi di numerose malattie derivi dalla specializzazione sempre più ristretta dei medici, resasi necessaria dalla complessità sempre più crescente della medicina, ed è questa visione parziale che impedisce loro di raggiungere una concezione globale del problema.

Egli asserisce che le riflessioni nate dalle sue letture didattiche e l’esperienza maturata grazie alla sua quarantennale attività professionale, gli hanno permesso di formulare delle ipotesi sulla patogenesi di numerose malattie considerate fino ad oggi in parte o completamente inspiegabili, molte delle quali rispondono positivamente al passaggio del paziente dalla sua dieta precedente a quella ipotossica, con un miglioramento che va da almeno il 50% a remissioni complete dei sintomi. Seignalet parla di remissioni e non di guarigioni, in quanto asserisce che l’abbandono della dieta ipotossica viene generalmente sancito dalla ripresa dei sintomi della malattia nell’arco di poche settimane o mesi. A livello pratico le affermazioni dei successi ottenuti dalla sua dieta sono attestati da pazienti volontari, seguiti trimestralmente il primo anno ed in modo più distanziato gli anni successivi.

Le sue teorie sono racchiuse nel libro “L’alimentazione, ovvero la terza medicina”, arrivato alla quinta edizione nel 2003, anno del decesso dell’autore, e pubblicato in Italia quattro anni dopo. Come già capitato ad altri autori che hanno proposto teorie “rivoluzionarie”, spesso non in linea con i dettami della medicina ufficiale (e che ledono interessi economici consistenti, legati a vendite di farmaci etc.), Seignalet viene considerato da alcuni un ciarlatano, infatti si trovano vari articoli in rete in cui viene attaccato e criticato, io cito solamente il fatto che nel suo libro di 714 pagine vi sono ben 44 pagine di bibliografia ampiamente dettagliata. A buon intenditor… Sebbene lo scopo del libro fosse quello di presentare ai medici, ed in generale alle persone dotate di cultura medico-scientifica, un nuovo concetto sui meccanismi di alcune malattie ancora “oscure”, Seignalet cerca comunque di usare quando possibile un linguaggio “comune” al posto del gergo medico, in modo da dare la possibilità al grande pubblico di seguire i suoi scritti, quindi per esempio troviamo “stanchezza” al posto di “astenia” e simili, inoltre lungo il testo espone a lungo le basi di chimica, fisiologia, genetica, immunologia e antropogenesi, necessarie alla comprensione dell’opera, che viene facilitata anche dalla spiegazione delle condizioni di insorgenza, segni clinici ed evoluzione delle singole malattie. Resta comunque un testo di non semplice lettura. Tralascerò le considerazioni relative alle malattie, concentrando l’esposizione dei concetti dietetici esposti dall’autore, che cercherò di elencare nella loro totalità. L’opera è davvero monumentale, e condensare le idee proposte dall’autore richiede tempo, ma sono in ferie e quindi mi appresto a farvi, credo, cosa gradita. Tutto ciò che scriverò sono sunti delle idee e dei pensieri dell’autore, ed ogni mia eventuale considerazione sarà riportata in corsivo. Innanzitutto, cosa che poche persone hanno ancora stampato bene in mente, medici compresi.

IL NOSTRO MODO DI MANGIARE INFLUENZA LA NOSTRA SALUTE IN UN SENSO SIA NEGATIVO CHE POSITIVO.

Nella prevenzione e nel trattamento di numerose malattie, il primo posto spetta ad una dieta accurata. Attualmente la dieta non ha che un ruolo marginale nelle terapie, prima di tutto perché le sue indicazioni sono limitate ad un numero ristretto di situazioni, poi perché il concetto di dieta rimane relativamente semplicistico (riduzione del sale nell’ipertensione arteriosa etc.), infine questi accorgimenti spesso cercano di curare i sintomi, non le cause. In più, le concezioni attuali del concetto di dieta sono soprattutto basate sul numero di calorie , sull’equilibrio dei macronutrienti e su un apporto adeguato di calcio e vitamine. La visione quantitativa della nutrizione deve essere invece sostituita da una visione qualitativa. Seignalet (che da ora in poi citerò con S. ) cita alcuni suoi predecessori che avevano in qualche modo intuito l’importante ruolo dell’alimentazione, Edward Bach, Paul Carton, Kousmine, Burger e Fradin. Kousmine e Burger hanno avuto il merito di collegare il fatto che l’uomo moderno non mangia nello stesso modo di una volta con l’insorgenza sempre più frequente di alcune malattie un tempo rare, propugnando il ritorno ad un cibo di tipo ancestrale per prevenirle o guarirle. La differenza tra i due è che Kousmine posiziona temporalmente questo cambiamento all’inizio del XIX secolo, Burger all’inizio del periodo neolitico, 5000 anni fa. Fradin ha poi direttamente accusato il metodo nutrizionale occidentale come il diretto responsabile di un forte aumento delle patologie degenerative. In più, Kousmine ha dimostrato il pericolo delle tecniche industriali per la preparazione dei prodotti, Burger ha ideato la teoria dell’inadattamento degli enzimi umani ad alcuni alimenti odierni, Fradin ha incriminato le carenze in acidi grassi omega 3, la cottura a forte temperatura, i latticini, i cereali cotti ed i tossici lipofili.

Da quando la nostra specie si è distinta dalle scimmie antropoidi, circa 5 milioni di anni fa, i predecessori dell’uomo e l’uomo sapiens stesso hanno assunto lo stesso tipo di cibo. I nostri antenati erano raccoglitori/cacciatori, il che significa che si nutrivano di carne, pesce, miele, cereali selvatici, legumi e frutta, e l’unico latte che consumavano era quello materno, e soltanto per il periodo della prima infanzia. Il fuoco fu “addomesticato” 400.000 anni fa, nonostante ciò non abbiamo alcuna prova che il fuoco sia stato utilizzato per la cottura degli alimenti prima di un periodo che risale a circa 100.000 anni fa. L’analisi delle feci fossili dimostra che nell’era mesolitica l’uomo si nutriva di cibo crudo, e la suddivisione del cibo era diversa da quella di oggi, precisamente: 33% proteine delle quali il 75% di origine animale (oggi 11% di cui 62% animale) 22% lipidi di cui 41% di origine animale (oggi 37% di cui 75% animale) 45% di glucidi quasi senza saccarosio né lattosio (oggi 52% di cui 27% saccarosio e 5% lattosio) Gli uomini primitivi avevano un consumo proteico tre volte maggiore rispetto a quello attuale, con una prevalenza di proteine animali, assumevano meno lipidi e soprattutto meno grassi animali, cosicchè il rapporto acidi grassi polinsaturi/saturi era intorno a 1,4 contro l’attuale 0.25 , la quantità di glicidi era pressoché equivalente, ma priva di zuccheri industriali, inoltre l’alimentazione primitiva era ricca di calcio e potassio ma povera di sodio, e la vitamina C era quattro volte più consumata rispetto ad oggi. Il passaggio dalla preistoria alla storia, dal mesolitico al neolitico, dal selvatico alla civilizzazione, fu caratterizzato dal modo di alimentarsi. Circa 9000 anni fa in Asia Minore e circa 7000 anni fa nella regione del Messico, alcune tribù modificarono il loro stato da nomadi raccoglitori/cacciatori in sedentari agricoltori/allevatori, disponendo così di quantità maggiori di cibo, che permise un rapido aumento della densità di popolazione, che riuscì ad espandersi in diverse direzioni, inducendo le tribù con le quali venivano a contatto a modificare il loro modo nutrizionale, ed evolvendosi poi fino allo sviluppo dell’industria agro-alimentare dei giorni nostri.
I cambiamenti più importanti che differenziano la nuova dalla vecchia alimentazione, li possiamo condensare nei seguenti punti:

  • consumo di cereali coltivati
  • consumo di latte animale e suoi derivati
  • cottura
  • preparazione degli oli
  • inquinamento alimentare
  • rischio di carenze vitaminiche e minerali.

 

Per milioni di anni gli uomini si sono nutriti con cibo naturale, analogo a quello selvatico, mentre l’alimentazione moderna è ricca di nuove macromolecole alle quali i nostri enzimi e mucine spesso non si sono adattati

infatti possono verificarsi due casi: la creazione di nuovi enzimi tramite mutazioni genetiche, per la digestione di alcune molecole, che nel giro di qualche migliaio di anni si saranno adattati al compito in questione; l’impossibilità di un adattamento enzimatico per altre molecole, troppo differenti da quelle naturali, come ad esempio alcuni isomeri generati dalla cottura, come i glicidi L. Nel 900, la situazione è inoltre peggiorata, a causa della globalizzazione del modo nutrizionale, dove è incrementato esponenzialmente il numero dei prodotti importati da regioni lontane anche migliaia di chilometri.


Lorenzo Maini

vivisanoefelice@gmail.com